lunedì 26 ottobre 2009
Riflessioni mediterranee
Il 19 e il 20 Ottobre nella mia città, Reggio Calabria, si è svolto un patinato meeting che ha riunito le rappresentanze di ben trentadue fra le maggiori città, italiane e non, che si affacciano sul Mar Mediterraneo, da Tel Aviv a Barcellona, da Rabat a Nizza.
L’evento si è tenuto in vista dell’istituzione, nel 2010, della futura area di libero scambio fra i paesi mediterranei che vi aderiranno, in maniera tale, perlomeno nelle intenzioni, di favorire lo sviluppo di quest’area e raccogliere le nuove sfide economiche del XXI secolo, tanto per utilizzare un po’ di frasi fatte, che comunque fanno sempre tendenza, in Italia soprattutto.
Ammetto di intendermene troppo poco di economia per riuscire a comprendere in che misura davvero questa idea riuscirà a giocare un ruolo nell’eventuale crescita dell’area mediterranea e di sicuro non è mia competenza discuterne.
L’ambito, invece, che a me viene in mente quando sento la parola “Mediterraneo” è tutt’altro che economico e, anche, tutt’altro che meramente geografico ed è quindi da questa considerazione che la mia personalissima riflessione parte.
Molte parole, in questi giorni, si sono spese in merito alla rilevanza di questo incontro, in cui, fra l’altro, si è ampiamente parlato del Ponte sullo Stretto, presentandolo come un “capolavoro” (ma, mi e vi chiedo, si sarebbe forse potuto dire il contrario?), per cui ho visto la mia città ricordarsi improvvisamente di essere “crocevia del Mediterraneo” e come tale celebrata e decantata. Lungi da me sottovalutare un evento capace di riunire così tanti luoghi così tanto diversi l’uno dall’altro in un unico posto, ma, la mia solita paura, è che tutto questo rimanga pura retorica.
Pensare di potersi proporre come città “crocevia del Mediterraneo” solamente per una mera coincidenza geografica o perché si hanno determinati trascorsi storici, di cui però non ci si serve praticamente mai, mi fa più che altro ricordare che noi piccoli italiani siamo duri a toglierci il vizio dei discorsi altisonanti e ridondanti, illudendoci di coprire così le nostre magagne e la nostra pateticità.
Il fatto è che spesso confondiamo l’atto del coprire con quello del cancellare, poiché un cadavere in putrefazione si può anche seppellire sotto metri di terra, ciò non toglie che esso rimane lì, non sparisce per niente.
In tal caso parlare di Mediterraneo, significa tirare in ballo una realtà storico-culturale complessissima: definirlo un mare o una zona geografica è solamente scalfire la parte più immediatamente superficiale della questione. Più che come una comunissima distesa di acqua salata, bisognerebbe fare uno sforzo di fantasia e osservarlo immaginandosi al posto del suo azzurro liquido, una rete, una enorme rete composta da un intrico quasi magmatico di fili, ognuno di un differente colore, qualcuno percorre la rete più in profondità, qualcuno la percorre più in superficie, qualcuno dei fili è più spesso, qualcuno talmente sottile da sparire quasi. Ognuno di essi è il singolo apporto di una determinata cultura, di un determinato momento storico che, assieme, hanno concesso al Mediterraneo di essere non solo passivo scenario, ma attore principale di una storia millenaria e fertilissima di avvenimenti, idee, scambi, compenetrazioni fra linguaggi, stirpi, mentalità, saperi differenti.
E’ quindi un’entità del tutto singolare, plasmata dalla gente che ne abitò le rive ed a sua volta agente di trasformazione di quegli stessi popoli, grazie alle più disparate influenze che riusciva a trasportare da e per ogni luogo che con esso possedesse un contatto.
Tale situazione assolutamente fuori dal comune per ricchezza di scambi e contatti permise la nascita di quelle civiltà che, ancora oggi, costituiscono le più profonde radici di quello che comunemente chiamiamo “mondo occidentale”. Ecco allora che i greci inventano la filosofia, la politica, l’ideale moderno di libertà, che Roma, oltre ad essere culla del diritto e di una saldissima concezione dello Stato, fa diffondere e radicare il patrimonio ellenico. E ancora prima sulle imbarcazioni degli esperti marinai fenici aveva viaggiato, oltre alle merci, l’alfabeto; dalle sponde dell’Egitto erano arrivati gli antichi saperi dei sacerdoti ed i segreti della scultura e dopo la caduta dell’impero latino i grandi filosofi e le loro opere che nel Mediterraneo avevano visto la luce, alla luce furono riportati dal Mediterraneo grazie all’interesse degli intellettuali arabi, in un mondo medievale piombato in un’epoca di crisi e caos.
Mi piacerebbe quindi che, quando si ricorda alla mia città il fatto di essere “città mediterranea”, questo entrasse nelle coscienze di noi reggini e più in generale di noi europei, che dalla cultura mediterranea traiamo l’impalcatura di ciò che siamo come comunità, lo si facesse in una maniera meno banale di quanto in apparenza possa sembrare.
Essere “mediterranei” significa fare onore a una tradizione frutto della fusione di innumerevoli culture, tutte incredibilmente ricche, tradizione, proprio essa, che ci ha insegnato, con il mondo delle poleis greche, a perseguire la libertà, senza mai essere omertosi e sottostare agli abusi di potere del “più forte”; ci ha insegnato, con la filosofia, il valore della ragione e della riflessione critica che scardina i dogmi; ci ha insegnato la bellezza e l’armonia dell’arte e della letteratura.
Al momento attuale noi non possiamo che ritenerci epigoni non molto riusciti di questa, vera civiltà mediterranea, se non riusciamo ad alzare la testa nei confronti delle mafie, se abbandoniamo lo Stato ai capricci di chi pensa di dirigerlo per privati fini, se preferiamo crogiolarci nell’ignoranza piuttosto che essere validi ed orgogliosi custodi delle opere che gli artisti e gli uomini di cultura di un tempo hanno prodotto al fine di comprendere sempre meglio il mondo che ci circonda e di dare vita ad ideali al cui centro ci fosse l’uomo, nella sua dimensione più nobile e virtuosa.
Solo la consapevolezza profonda di questo nostro humus e il coraggio di non farlo semplicemente rimanere passato, ma di tenerlo presente ogni giorno nelle nostre azioni, nella nostra mentalità e nella nostra voglia di non piegarci più a tutto ciò che limita, prima ancora che la nostra libertà, la nostra dignità, può costituire davvero, secondo me, un’ “anima mediterranea”, una “vocazione mediterranea”.
Il Mediterraneo per primo nella storia, è stato formidabile veicolo di questi pensieri nati proprio presso le sue rive e noi, che quelle stesse rive abitiamo più di due millenni dopo, non possiamo concepire di proporci come “civiltà mediterranea” se ne dimentichiamo il principale fulcro: le sue vicende storiche. Prima ancora di pensare a qualsivoglia progetto politico o economico, di cui comunque, ribadisco, non intendo negare la validità, bisognerebbe, però, fermarsi sulle sue sponde, a riflettere, a imparare tutto ciò di cui la sua distesa è stata impregnata e che essa, oggi, ci offre ogni volta che un’onda si infrange sulle nostre spiagge, portando con sé secoli di storia umana.
Ottobre 26, 2009 di Bianca Misitano
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